Aria malata: «Le soluzioni ci sono, ma servono scelte coraggiose»
«I dati dell’Agenzia europea per l’Ambiente confermano ampiamente la gravità di una situazione che è purtroppo ben nota. Si tratta di concentrazioni di inquinanti elevatissime a livello continentale, emerse anche da ricerche condotte dall’Università».
Ordinario di Economia all’Università degli Studi di Brescia e già presidente del circolo locale di Legambiente, Carmine Trecroci, coordinatore per l’Università del CSC (Centro Sviluppo Sostenibilità) non è rimasto sorpreso del risultato ottenuto dalla nostra provincia nella classifica stilata dall’Agenzia europea per l’Ambiente (EEA) che lo scorso giovedì ha pubblicato una mappa visuale della qualità dell’aria di 323 città, una classifica di alcuni centri urbani del Vecchio Continente stilata valutando solo l'indicatore delle polveri ultrafini, Pm 2.5. Classifica che certifica la grave situazione ambientale di Brescia, 315esima per qualità dell’aria.
Professore, la situazione è così grave?
È necessario anzitutto fare una premessa. Queste concentrazioni di poveri ultrafini sono il frutto di interazioni complesse e non lineari tra le emissioni primarie di diversi settori e fattori di ordine fisico e climatico. Le sorgenti primarie più importanti di precursori dei composti più nocivi sono essenzialmente quattro: agricoltura, trasporto su strada, settore energetico, sia civile che industriale, e industria. Essendo un fenomeno complesso il suo superamento o la sua mitigazione sono possibili solo attraverso misure altrettanto articolate e organiche.
Negli ultimi anni però la qualità dell’aria che respiriamo è migliorata.
Certo, si sono osservate riduzioni su base ventennale delle concentrazioni di alcuni inquinanti, come il particolato. Tuttavia, altri inquinanti come l'ozono o il biossido di azoto non hanno evidenziato riduzioni altrettanto evidenti.
Le riduzioni osservate sono abbastanza omogenee a livello europeo e sono dovute essenzialmente a due driver: da una parte il progresso delle tecnologie filtranti sia degli impianti industriali ed energetici che dei veicoli; dall'altra si è osservato un mutamento significativo dei pattern stagionali di venti e precipitazioni, probabilmente dovuto al cambiamento climatico, che ha migliorato lievemente il rimescolamento dei bassi strati dell'atmosfera e la dispersione degli inquinanti al suolo.Nonostante ciò, l’Agenzia ha calcolato in circa 417mila ogni anno i decessi dovuti all’inquinamento. Governi nazionali e locali cosa dovrebbero fare?
Gli interventi su scala locale e nazionale finora sono stati ampiamente inadeguati. La soluzione passa per un piano integrato di misure strutturali a livello nazionale, sovraregionale e locale che non c’è. Manca un piano nazionale per la qualità dell'aria che stiamo aspettando da decenni, nonostante le ripetute infrazioni di direttive e norme comunitarie. A livello regionale e di capoluoghi di provincia gli interventi possibili sono molteplici: innanzitutto una più rigorosa attività di disciplina e controllo orientata alla riduzione dello spandimento in aria di liquami del settore zootecnico che è una delle sorgenti più importanti di ammoniaca, rilevante precursore di diversi inquinanti. Questo dovrebbe avvenire nel contesto di un programma di interventi coordinato tra regione e città capoluogo, volto anche a ridurre la circolazione a ridosso dei centri urbani dei veicoli maggiormente inquinanti.
Sono ancora 11 milioni i veicoli tra Euro 0 e Euro 3 circolanti in Italia, su 38 milioni complessivi; molti di questi a gasolio, che quindi emettono enormi quantità di NOx e altri precursori di sostanze inquinanti. Per questo come per altri interventi occorre costruire un sistema razionale di incentivi e sanzioni in grado di accompagnare il settore verso una più rapida conversione. Le singole città dovrebbero quindi accelerare su low emission zones, pedonalizzazioni, aree 20km/h e seguire gli esempi tra gli altri di centri urbani di Parigi, Spagna e altrove, dove la circolazione e la sosta veicolare sono fortemente penalizzate. A Brescia occorre affiancare agli interventi già attuati sul lato dell'offerta di TPL, come il metrobus e i nuovi percorsi ciclabili, misure di governo della domanda di mobilità, che non può restare ispirata al principio del far west e della penetrazione indiscriminata del tessuto urbano da parte delle auto.
Le soluzioni insomma ci sono, basta volerle attuare?
Le misure adottate finora a livello locale, regionale e nazionale in Pianura padana sono palesemente inadeguate. I decisori dovrebbero individuarne, alla svelta, di nuove, ben integrate ma molto più coraggiose, non dimenticando che le misure per la riduzione delle emissioni nocive e quelle per la mitigazione del cambiamento climatico sono fortemente correlate: bisogna costruirle insieme, in un'ottica integrata e multisettoriale.
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