Ambiente

Accordo storico all'Onu per la protezione dell'alto mare

Si tratta del primo trattato internazionale a protezione dei due terzi degli oceani, ecosistema vitale per l'umanità
Due lamantini nelle acque dell'oceano - Foto da unsplash.com
Due lamantini nelle acque dell'oceano - Foto da unsplash.com
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Accordo storico all'Onu per il primo trattato internazionale a protezione dell'alto mare, quello che a oltre 200 miglia nautiche dalle coste esula dalle giurisdizioni nazionali e rappresenta i due terzi degli oceani, costituendo un ecosistema vitale per l'umanità. «La nave ha raggiunto la riva», ha annunciato la presidente della conferenza Rena Lee, tra i lunghi applausi dei delegati. Il disco verde è arrivato dopo oltre 15 anni di discussioni, di cui quattro di negoziazioni formali, e una maratona finale di 48 ore al Palazzo di Vetro.

Il testo, concordato dai Paesi membri, sarà adottato dopo l'esame degli uffici legali e la traduzione nelle sei lingue delle Nazioni Unite. Poi dovrà essere ratificato da un numero sufficiente di Paesi. Il contenuto non è stato reso noto, ma tutti hanno accolto l'intesa come una svolta storica e decisiva per l'attuazione dell'impegno "30x30" preso alla conferenza Onu di dicembre sulla biodiversità, per proteggere un terzo dei mari (e delle terre) entro il 2030. Senza un trattato, questo obiettivo sarebbe certamente fallito.

Aree protette marine

Finora infatti non esistevano meccanismi legali per creare aree protette marine (Mpa) nelle acque internazionali difendendo la fauna e condividendo le risorse genetiche. Benchè rappresenti i due terzi degli oceani e quasi la metà del pianeta, l'alto mare è stato a lungo ignorato nelle battaglie ambientali, a vantaggio delle zone costiere e di qualche spazio emblematico. Ma con il progresso della scienza è emersa la necessità di proteggere gli oceani nella loro interezza perché producono la metà dell'ossigeno che respiriamo, rappresentano il 95% della biosfera del pianeta e limitano il riscaldamento climatico assorbendo anidride carbonica. A minacciarli sono l'inquinamento di ogni tipo, l'acidificazione delle acque e la pesca eccessiva.

Tra i nodi che finora avevano impedito un accordo c'erano la procedura per creare le aree marine protette e il modello per gli studi di impatto ambientale. Ma soprattutto la spartizione delle risorse genetiche, come spugne marine, krill (piccoli crostacei), coralli, alghe e batteri, oggetto di crescente attenzione scientifica e commerciale per il loro potenziale uso in medicina e cosmetica, con relativi profitti. I Paesi in via di sviluppo che non hanno i mezzi per finanziare spedizioni e ricerche molto costose si sono battuti per non essere esclusi dall'accesso a queste risorse e alla fine è passato il principio della condivisione. Come in altri forum internazionali, in particolare i negoziati sul clima, il dibattito è finito per ridursi a una questione di equità Nord-Sud, con una mano tesa da parte dei Paesi più ricchi.

La promessa dalla Ue

Con un annuncio visto come un gesto per rafforzare la fiducia Nord-Sud, l'Ue ha promesso a New York 40 milioni di euro per facilitare la ratifica del trattato e la sua prima attuazione. «Una vittoria per il multilateralismo e per gli sforzi globali per contrastare le tendenze distruttive che minacciano la salute degli oceani, oggi e per le generazioni a venire», ha commentato il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres. Plauso pure da parte della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e del commissario europeo per l'Ambiente Virginijus Sinkevicius. «Una buona notizia anche per l'Italia», hanno commentato il ministro per le Politiche del mare Nello Musumeci e il titolare dell'Ambiente Gilberto Pichetto, invitando ora ad un maggiore impegno contro l'inquinamento del Mediterraneo.

«È una giornata storica per la conservazione e un segno che in un mondo diviso la protezione della natura e delle persone può trionfare sulla geopolitica», ha osservato Laura Meller, di Greenpeace. «Un risultato epocale, le aree protette in alto mare possono svolgere un ruolo vitale per rafforzare la resilienza contro gli effetti del cambiamento climatico», le ha fatto eco Liz Karan dell'ong Pew Charitable Trusts.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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