Al femminile

Paola Cortellesi e quella polemica social sugli stereotipi nelle favole

È partito tutto dalla lectio magistralis tenuta dalla regista alla Luiss Guido Carli, in cui ha parlato di Biancaneve
La regista e attrice Paola Cortellesi - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
La regista e attrice Paola Cortellesi - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Ci risiamo, ormai ogni occasione è buona per scatenare tempeste mediatiche sui social. È un piccolo terremoto anche quello che ha investito Paola Cortellesi. Dopo avere raccolto gli allori per il suo film sul voto alle donne («C'è ancora domani»)  è stata colpita in questi giorni da una ventata di polemiche.

Nella lectio magistralis che ha tenuto all’Università Luiss Guido Carli ha citato in modo ironico una serie di stereotipi contenuti nelle favole. Sono in prevalenza uomini quelli che hanno commentato nel modo più sprezzante, come fosse la maestrina dalla penna rossa del politicamente scorretto, convinti che i riferimenti al maschilismo se li poteva risparmiare. Anche il giornalista Giuseppe Cruciani l’ha accusata di vedere sessismo dappertutto e durante la trasmissione radiofonica «la zanzara» le ha indirizzato una serie di «vaffa» e di parolacce, includendo tutti coloro che si riconoscono nella sua sarcastica interpretazione.

Non c’è uomo o donna che può negare ci sia un fondamento di verità nell’affermazione: «Siamo sicuri che se Biancaneve fosse stata una cozza il cacciatore l’avrebbe salvata lo stesso?». Del resto in ogni società la bellezza è sempre stata ritenuta un valore aggiunto. Nel modo ironico che la caratterizza, l’attrice-regista dice che «Biancaneve faceva la colf ai 7 nani!», sottolineando la scarsa considerazione dei ruoli femminili anche nelle fiabe. È vero, sono intrise di luoghi comuni che descrivono un mondo diviso fra streghe cattive e principesse con l’obbligo di essere belle, salvate sempre da uomini coraggiosi, meglio se di potere come il principe azzurro.

Le fiabe le abbiamo ascoltate e raccontate ai nostri figli senza farci troppe domande, forse adesso è venuto il momento di leggere tra le righe e cambiare il finale, se necessario. Non mi pare siano state sollevate questioni quando nel 2018 l’attrice recitò «Sono solo parole», il testo scritto da Stefano Bartezzaghi sulle discriminazioni contenute nel lessico della lingua italiana dove parole come zoccolo, buon uomo o gatto morto declinate al femminile cambiano totalmente il loro significato e inducono in modo equivoco a pensare alla prostituzione. Allora non aveva ancora sbaragliato tutti gli incassi ai botteghini del cinema e non alimentava alcun genere di gelosia, oppure la violenza contenuta nelle parole era cosi evidente che nessuno aveva osato smentirla.

Ma se al termine del recente monologo gli studenti hanno risposto con un lunghissimo applauso qualcosa vorrà pur dire.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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