Scampato ai lager, il tipografo che stampò il primo numero del GdB

Il figlio Guido racconta la storia del 23enne Paolo Lovato, vicino alla resistenza delle Fiamme verdi bresciane. Fu lui a comporre la prima pagina nello scantinato del Broletto
Guido Lovato, figlio del tipografo che stampò il Giornale di Brescia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
Guido Lovato, figlio del tipografo che stampò il Giornale di Brescia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
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Ci sono titoli destinati a restare impressi nella storia di una città, e il «Brescia è libera» con cui il Giornale di Brescia inaugurò il 27 aprile 1945 la sua di storia, è da considerarsi uno di questi. A comporlo, a tutta pagina, fu il 23enne tipografo Paolo Lovato, vicino alla resistenza delle Fiamme verdi bresciane.

Paolo Lovato
Paolo Lovato

Il racconto del figlio

«Mio papà ha sempre raccontato fino all’ultimo con grande orgoglio di aver fatto quel lavoro e ha conservato una copia originale di quella edizione così speciale», ricorda commosso il figlio Guido, nella tipografia di famiglia, mentre una mitica stampante «a stella» Heidelberg sforna dei biglietti da visita appena composti con caratteri di piombo.

Alle prese con i caratteri tipografici - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
Alle prese con i caratteri tipografici - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it

«Dopo il 25 aprile il Comitato di liberazione nazionale di Brescia cercava un tipografo che sapesse il fatto suo per avviare la pubblicazione del proprio organo, il Giornale di Brescia appunto», racconta Guido Lovato. «Papà era cresciuto a pane e tipografia con mio nonno Giuseppe che aveva rilevato nel 1923, un anno dopo la sua nascita, la stamperia di don Romolo Putelli qui in via Aleardi, e così diede al Cln la sua disponibilità».

«Del resto – aggiunge – aveva già collaborato alla stampa di materiali clandestini dei partigiani cattolici, molto attivi nelle nostre valli dove veniva distribuito “Il ribelle”, il foglio a stampa fondato nel 1944 dal futuro beato Teresio Olivelli e Carlo Bianchi per sostituire il ciclostilato “Brescia libera” dopo la fucilazione del dirigente delle Fiamme Verdi bresciane Astolfo Lunardi a Mompiano».

Guido Lovato nel suo laboratorio - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
Guido Lovato nel suo laboratorio - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it

Lovato si era avvicinato alla resistenza dopo esser scampato ai lager nazisti cui erano destinati i militari italiani che non aderivano alla Repubblica di Salò. Sotto le armi come geniere telegrafista degli alpini a Collalbo, in Alto Adige, dopo l’8 settembre era stato fatto prigioniero dai tedeschi ma qualcuno, rimasto anonimo, nella stazione di Bolzano spalancò tre portali sigillati del convoglio che doveva deportare in Germania i militari catturati. Paolo fu tra quanti riuscirono a fuggire. Tornato fortunosamente a Collalbo, vi rimase in clandestinità per un periodo con l’aiuto della gente del posto e della famiglia di Luis, un giovane che conosceva.

«Mio padre restò legato per il resto della vita a questo amico» ricorda Guido. «E pensare che il fratello di Luis era stato arruolato nelle Ss sudtirolesi, e tutti corsero quindi dei brutti rischi».

Vecchi attrezzi del mestiere - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
Vecchi attrezzi del mestiere - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it

Rientrato di nascosto a Brescia, Lovato che già prima della guerra frequentava l’Oratorio della Pace, riprese i contatti con quest’ambiente diventato nel frattempo un punto di riferimento per l’antifascismo e la resistenza a Brescia.

Fu così che il giovane tipografo si ritrovò negli scantinati del Broletto dove si erano stampati i fascistissimi «Brescia Repubblicana» e «Il Popolo di Brescia», con l’incarico di predisporre il titolo d’apertura e comporre con le colonne di piombo preparate dai linotipisti le due pagine del primo GdB. «Per il titolo usò dei caratteri a scatola: erano i più grandi a disposizione dei tipografi ed, essendo di legno, si conservavano appunto in una scatola e non nello scaffale di quelli in piombo», spiega il figlio.

«Dopo la liberazione papà volle però proseguire l’attività in proprio e rinunciò al lavoro nel giornale, anche se il GdB è sempre entrato ogni giorno in casa nostra, e si diede da fare con il padre per ricostruire la casa e la tipografia distrutte da un bombardamento il 2 marzo 1945». Bombe alleate che avevano invece risparmiato l’edificio a fianco, «la ca’ del diaol», dove viveva la veggente di Sarezzo Semiramide, e dove i suoi familiari – raccontava Paolo, che se ne è andato ad 88 anni nel 2011 – avevano più volte visto arrivare lo stesso Mussolini.

Il laboratorio di tipografia dopo il bombardamento - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
Il laboratorio di tipografia dopo il bombardamento - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it

Frequentando il servizio di soccorso per i profughi e i dispersi in guerra al vescovado, Lovato conobbe poi la futura moglie Gemma Zorat, italiana nata in Francia e sfollata a Brescia dopo l’espulsione seguita alla dichiarazione di guerra del duce.

La sede attuale della tipografia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
La sede attuale della tipografia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it

«Ed eccomi qui, anch’io ora sono in età di pensione – conclude Guido – ma è ormai il nostro mestiere ad essere in via di estinzione per come l’abbiamo praticato noi. Per questo sto man mano consegnando molti dei nostri set di caratteri a un cultore emiliano dell’arte tipografica perché non vadano persi. Mi tengo stretta invece una piccola stampante usata dagli alpini in Adamello durante la Grande Guerra: fu affidata da uno di loro al nonno e tutti noi Lovato l’abbiamo custodita fino ad oggi con cura come una sorta di viatico per il nostro lavoro».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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