Sentieri del Cai con nuovi numeri Io non li cambio

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Su molti sentieri di montagna il Cai - Club Alpino Italiano - sta effettuando la sostituzione dei cartelli e la modifica della numerazione che vede ora il numero 6 anteposto ai vecchi numeri (il sentiero n. 18 diventa n. 618 e così via).

Questa azione riguarda anche la nostra «storica» Alta Via dell’Adamello - Sentiero n. 1. Infatti, sul percorso sono già comparsi alcuni cartelli con il numero 601, i quali recano anche appiccicata una piccola etichetta adesiva bianca con scritto «Ex 1».

Sì, proprio «Ex 1», quindi di fatto il Cai ritiene già sepolti il nome e la storia di questa alta via? Personalmente non sono d’accordo, perché si tratta di un sentiero che ha caratteristiche uniche e diverse da tutti gli altri. Nel suo percorso originario, ovvero dal rifugio Tita Secchi fino al rifugio Garibaldi, questo sentiero ha uno sviluppo di oltre 50 km, mantenendosi sempre sopra i 2000 metri di altitudine. Esso fu ideato e realizzato nel 1969 dall’alpinista Renato Floreancigh, in modo pionieristico visti i tempi e la mancanza di strumenti quali Gps, Google Maps. Ci sono pochi nomi che evocano emozione al solo sentirli, e per gli appassionati di montagna il «Numero 1» è tra questi. Chiunque l’abbia percorso ne parla con enfasi, ricordando gli scenari grandiosi e le emozioni provate.

Il Sentiero Numero 1 è inoltre testimone e custode della nostra storia, con resti di insediamenti militari della Grande Guerra, trincee, costruzioni, caverne e molte altre opere.

A mio parere il Cai dovrebbe dare all’alta via un’identità tutta sua.

Spero che questo appello venga condiviso ed ascoltato, auspicando che il Cai, al quale va riconosciuto l’impegno nella manutenzione dei nostri sentieri, voglia rispondere nel merito, tenendo presente che entità come il Sentiero N. 1 sono patrimonio di tutti e che pertanto non dovrebbe essere cancellati a cuor leggero.
A. Ruggeri

Caro Ruggeri,

sarà il caldo, sarà la suggestione provocata dalle sue parole, ma prima di risponderle è venuto d’istinto infilarci lo zaino in spalla e controllare di aver allacciato bene gli scarponi.

Con un filo di delusione, lo ammettiamo, abbiamo realizzato di essere di fronte a un computer e che si trattava di una lettera, non di un’escursione. Torniamo dunque con i piedi per terra e la testa in pianura, associandoci al disappunto di veder cambiato ciò che da anni siamo abituati a chiamare con lo stesso nome.

È il progresso, bellezza. Abbinato al centralismo, al desiderio - molto umano, per la verità - di organizzare, di regolare, di fare ordine.

I sentieri di montagna non fanno eccezione, finendo anch’essi in un «catasto» e necessitando di nuova numerazione. Dall’Alta Via alla bassa burocrazia, insomma, anche se non vorremmo darvi eccessivo peso.

Perché la verità è che alla montagna, alla natura, interessa zero: siamo noi umani a soffrirne. Specialmente noi di una certa età, resistenti al cambiamento e poco elastici non soltanto di gambe, ma di mente, come potrebbe spiegare bene il dottor Rozzini, che ogni lunedì tiene la rubrica qui sotto.

Facciamocene una ragione allora. Tanto, per noi, quel sentiero resterà sempre il numero 1. L’importante è continuare a percorrerlo, il resto mancia. (g. bar.)

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