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Strage di gatti a Maclodio: indagini in corso

I veterinari hanno prelevato alcune carcasse dalla cascina di Torre Caliniper verificare il veleno utilizzato.
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Da poveri randagi ad aristogatti. Il destino era stato benevolo con la comunità felina che negli anni si era insediata nella cascina di Torre Calini e nel cortile del settecentesco palazzo padronale. Ma la fiaba nel castello non ha avuto il lieto fine. Come vi abbiamo raccontato, nella notte di sabato 19 gennaio ben 24 dei 27 gatti, che appunto vivevano nella campagna tra Lograto e Maclodio, sono stati avvelenati e uccisi.

Ma chi si prendeva cura dei mici non è certo disposto a chiudere la vicenda senza andare a fondo. Da qui la denuncia ai carabinieri di Trenzano, al Comune di Maclodio e all'Asl di Orzinuovi. «Vogliamo scoprire con che veleno sono stati uccisi i nostri amati gattini, che non davano fastidio a nessuno», sono rattristati e amareggiati il pensionato che seguiva la colonia (che in verità, come vedremo, non lo era «legalmente») e la signora Dognini, proprietaria della tenuta con le sorelle. I gatti vivevano liberi nella cascina e di notte rientravano nella stalla vuota dove trovavano le loro ciotole piene di croccantini.

In queste è stato versato il veleno? «È impossibile - spiega la signora Dognini -, la sera la cascina viene chiusa e non risulta che nessuno abbia forzato le serrature per entrare». È quindi verosimile che il veleno sia stato versato in alcune ciotole all'esterno dello stabile.

Della vicenda si sta occupando anche la Polizia locale di Maclodio, si dovrà verificare soprattutto che il veleno non abbia inquinato i terreni attorno alla cascina, nel qual caso si dovrà procedere con una bonifica. Ma la storia non è ancora finita, perché oltre al danno potrebbe esserci la beffa. In futuro difficilmente potrà ricostituirsi una comunità felina a Torre Calini. «Non è possibile dar vita a una colonia vera e propria - spiegano - perché questa è una proprietà privata; d'altro canto se volessimo tenere altri gatti dovremmo registrarli dotandoli di microchip. Ma i mici, per quanto socievoli, restano pur sempre selvatici e gestirli in questo modo non sarebbe possibile».
Su chi sia l'autore della strage di gatti (come chiamarla diversamente?) si fanno solo ipotesi, ma ovviamente nulla di certo. Forse qualcuno che era stato allontanato dalla cascina e che ha quindi pensato (male) di vendicarsi sui poveri mici. Aveva ragione Ambrose Bierce: il gatto, diceva l'umorista americano, è un soffice indistruttibile essere cui la natura ha riservato la prerogativa di essere preso a calci quando nella cerchia domestica le cose vanno storte.

Francesco Alberti

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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