Dopo 51 anni l'addio del signor Roby Stube
Con le finestre chiuse o aperte era lo stesso: l’odore del luppolo si infilava in casa per restarci. Roberto abitava con il papà e la mamma vicino alla Wührer e quella nuvola tostata e dolciastra era inevitabile. Tanto che lui odiava il luppolo e odiava pure la birra. Preferiva il profumo del caffè, aveva iniziato a prepararli a sei anni nella trattoria di un amico di famiglia, alla Bornata, e non immaginava che proprio alla birra sarebbe rimasto legato per tutta la vita.
Roberto di cognome fa Cavazzoni, ma tutti lo conoscono come Roby Stube, dal nome del locale che ha iniziato a gestire personalmente dalla fine degli anni Settanta in viale Duca degli Abruzzi e che chiuderà entro fine anno dopo una vita passata dietro al bancone «e a insegnare alla gente a bere la birra nel modo giusto».
Per chi ama la birra, la Stube è un punto di riferimento. Roby ha 65 anni, odia il pirlo e sembra uscito da una fiaba dei fratelli Grimm, se non fosse che attorno a lui, al posto di una foresta tedesca, c’è la periferia di Brescia. «Mi ricordo che su un muro tra le case di via Bissolati c’era scritto "L’isola dei pentiti", perché qui abitava gente che a un certo punto spariva per non aver mai pagato l’affitto e c’era un via vai di carabinieri e polizia», racconta Roberto. Nel 1964, quando i genitori aprono il «Bar Pace», viale Duca degli Abruzzi è uno stradone che porta a Cremona e Piacenza. Niente tangenziali o autostrada: il passaggio è obbligato. Finite le medie inizia a lavorare nella trattoria di famiglia, dov’è rimasto per cinquantuno anni. «L’unica pausa è stata durante la naja, un anno e mezzo a Altamura dove ho imparato a bere il vino, prima ero astemio».
Quando muore il padre, nel 1978, c’è poco da scegliere: è lui che deve prendere in mano il bar. «Ero entrato in crisi, per fortuna un mio amico mi invitò in Belgio per una vacanza. Fu una rivelazione: scoprii la birra di qualità e vidi locali che qui non esistevano. C’era solo la Wührer, ma io volevo qualcosa di più intimo».
Tornato a Brescia vuole vendere la Stella Artois («all’epoca era un gran bere»), ma non trova fornitori: «Mi dicevano che la birra era per le pizzerie». Si arrangia, compra quattro fusti da cinque litri in un ingrosso e li finisce in una sera. Il giorno dopo ne compra dieci: addio Bar Pace, benvenuta Roby Stube, tra i primi locali del genere in città.
«Ho iniziato a specializzarmi, a cercare birre sempre nuove, a spillarle con i tempi corretti e con il giusto livello di schiuma, mentre davanti a me sfilavano le compagnie, vedevo le ragazze diventare donne, c’era chi mi accusava di essersi sposato a causa mia, dopo una serata più allegra del solito». Passano personaggi conosciuti, Idris, Marino Bartoletti, Nino Benvenuti, Febo Conti, Teddy Reno, Ivana Spagna, «ma anche tanti delinquenti» e gente normale. «Qualcuno purtroppo non c’è più, l’unica cosa che mi dispiace è non avere vissuto la mia giovinezza perché ero sempre qua. Per il resto sono contento di quello che ho fatto». Anche perché un lunedì di Pasqua entra nel bar una ragazza con un’amica e Roberto sente una fitta. Non si dichiara, la corteggia per un anno inviandole rose e poi una sera, mentre lo sta aiutando dietro al bancone, trova il coraggio: «Le ho detto "ti voglio sposare". Lei mi ha guardato stupita, non sapeva cosa dire, e io ho aggiunto "non subito, il tempo di fare le carte". Ci ha messo un po’, ma ha detto sì». Si chiama Grazia, lavora e sorride con lui, hanno due figli. «Mi è andata bene, il mondo fuori l’ho scoperto da qua dentro» dice Roby alzando il boccale. Alla salute: il primo sorso è il migliore, l’ultimo lascia un buon sapore.
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